Torna all'Indice

Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio

Le vie della superstizione sono infinite. Dunque se vi siete persi la prima parte di questo lungo viaggio nel profondo antro delle credenze teatrali, vi consiglio di andare a fare un ripassino qui. Visto il grande diramarsi dei percorsi abbiamo deciso in redazione (composta dal qui presente autore, me stesso ed io medesimo) di affrontare un argomento più specifico: la maschera teatrale.

Oggetto che appartiene all'alba dei tempi, la maschera intrattiene con il teatro una lunga storia fatta di amore e trance. Il teatro greco sfruttava la maschera sotto (probabile) forma di oggetti in legno e pelle che servivano per rievocare la figura dell'eroe mitico e amplificare la voce nello spazio scenico aperto. Plauto e Terenzio, commediografi latini del III-II secolo avanti Cristo, consideravano le rappresentazioni in maschera lo standard comico dell'epoca. Impossibile poi non citare l'importanza attribuitale da un genere teatrale come la Commedia dell'Arte, che ha fatto delle maschere veri e propri tipi rappresentativi come Arlecchino o Pantalone. Abbiamo già visto quante sono le superstizioni legate al mondo della scena che un attore dovrebbe osservare; ma ancora più numerose sono le credenze legate alla maschera, che non è mai semplice "oggetto di scena". La maschera vale molto di più del cuoio di cui è fatta, rivestita com'è di una forte aura sacrale che nessun performer si permette di ignorare.

Una precisazione. Esistono tanti tipi di maschere nell'universo. Le maschere intere, o rituali, vanno a coprire anche la bocca di chi le indossa: queste"teste vuote" coprono interamente il volto. Sono le maschere degli sciamani, ma anche del teatro greco e latino. Ci sono poi le mezze maschere legate specialmente alla Commedia dell'Arte: queste coprono solo la parte superiore del viso, lasciando libera la bocca (molto raramente le guance); potete vedere un esempio di questa maschera nell'immagine qui sopra. Vi sono infine le mascherine, che vanno a coprire solo gli occhi. La maschera di Zorro è il miglior esempio. Al di fuori del mondo della scena solo l'ultima categoria viene adoperata frequentemente, e sempre in contesti legati antropologicamente al teatro, sopra tutti la festa del riso per eccellenza: il Carnevale.

Ma cos'è realmente una maschera teatrale?

La maschera è da sempre collegata ad un perdita dell'io-proprio in favore di un io-altro, che è quello che l'oggetto come tale rappresenta. Immaginate una parola. Impressa sulla pagina, essa è soltanto una sequenza di lettere, di segni simbolici che possono rimandare ad un'affezione, ad un significato. Ma se la parola rimane inerte sulla pagina, nessuno ne può avvertire il potere. Solo quando essa viene pronunciata da una voce che risuona forte e chiara può acquistare il potere di diffondere il suo significato nelle mente di tutti coloro che l'ascoltano. La maschera è come la parola. L'oggetto maschera, quando non indossato, rappresenta solo visivamente, con tratti essenziali, il personaggio a cui rimanda: sta lì, ferma, quasi morta. Ma nel momento in cui il performer cala il cuoio sulla fronte essa rivela il suo immenso potere, perché qualcuno le dà voce, le dà vita.

La maschera è un altro personaggio sulla scena, un personaggio eterno: un eroe, un dio, un archetipo immortale che non tramonta mai nella storia dell'uomo e che la società riconosce fin dal primo sguardo, consciamente o inconsciamente. Ma dall'alto della sua immortalità questo personaggio non ha il potere di calarsi nel momento attuale, nel qui e ora, e quindi deve chiedere in prestito il corpo di qualcuno che vive e respira nel tempo presente. Il corpo, e non solo il viso, perché la maschera permea tutta l'anima dell'attore che la indossa. E così il personaggio torna a vivere, passando dall'etereo inconscio sociale alla realtà storica e personale. Proprio per questo bisogna rispettarla come un compagno di scena.

Per questo, quando indossate una maschera sulla scena, ricordate sempre la legge fondamentale: mai toccare la maschera. Ma se devo aggiustarla sul viso? Non farlo con le mani. Ma se mi sta cascando? In bocca al lupo. Toccare una maschera ricorda al pubblico una verità che aveva dimenticato fin dal vostro ingresso sulla scena, cioè che voi state effettivamente indossando una maschera.

Sul palco, l'attore mascherato non è semplicemente qualcuno che indossa una maschera: egli è la maschera, in un tutt'uno simbiotico. Se vi piacciono le commedie, immaginate quello che succede al personaggio interpretato da Jim Carrey nel film "The Mask". Ricordare al pubblico che si sta solo indossando una maschera degrada l'attore a semplice parodia del personaggio che essa rappresenta.

La seconda regola vuole che la maschera non debba mai essere indossata davanti al pubblico, ma girandosi di spalle. Il motivo è lo stesso della prima regola: il pubblico vedrebbe l'attore nell'atto (sic!) di indossare un oggetto inerte. Molto più interessante invece indossare la maschera "in incognito", lasciando così stupefatto il pubblico nel momento di girarsi.

Rappresentando un'entità, un compagno di scena, la maschera non deve essere maltrattata: se parliamo di maschere di Commedia, abbiate la grazia di non mettere loro le dita negli occhi, perché quelli sono gli occhi con cui l'attore vede la scena quando vive la maschera. Per lo stesso motivo non trattenete una mezza maschera per il naso: non avendo la bocca non potrà respirare e non potrà farlo nemmeno l'attore sul palco. Non fatela cadere! A voi darebbe gusto sbattere la capoccia sul terreno?

Riponete sempre la maschera in un luogo sicuro (e asciutto, ed è subito Gassman che legge l'etichetta di un capo delicato) e mai alla rinfusa con il resto degli oggetti di scena.

Un'ultima prescrizione: non osservatevi mai con la maschera con cui dovrete salire sul palco. Come ci insegnava il nostro Maestro di Commedia Carlo Boso, vedersi con la maschera indosso provoca una reazione simile a: "Ma questa faccia qui sono io? Per la miseria, sono ridicolo!". Eviterebbe quindi di sovraccaricarsi d'ansia ancora prima di calcare la scena.

Vedete dunque quanto può essere complesso l'universo della scena? Come si dice: quello che vedete alla sera dello spettacolo non è che l'estrema punta di un iceberg ben più profondo, composto da prove, copioni, scaramanzie, maschere e riti!